Itinerario
in città
Da Corigliano Scalo proseguendo lungo la vecchia SS. 106 (torrelunga) si giunge all’ingresso della città storica. La visita può iniziare una volta imboccato il Ponte Margherita, che consente di superare il torrente Coriglianeto, subito sulla sinistra, nella zona denominata Valle del Pendino, si può ammirare la Chiesa del Carmine (sec. XIV). La facciata si distingue per essere insolitamente affrescata, di cui restano pochi brani, e per la presenza di tre portali quattrocenteschi di stile gotico-napoletano. Tre dipinti murali occupano le lunette degli archi che sovrastano i portali e rappresentano, a partire da sinistra, Sant’Angelo Carmelitano, Madonna con Bambino, San Alberto di Messina. Altri tre affreschi, di cui uno quasi illeggibile, sono venuti alla luce durante i lavori di restauro iniziati nel 1988. Collocati sul lato destro della facciata, rappresentano un Vescovo a figura intera, in atteggiamento benedicente, ed il Trionfo della morte. Tutti sono databili alla prima metà del secolo XVI. Molto interessante il portale centrale, caratterizzato da un arco ogivale poggiante su due eleganti pilastri e decorato da angeli-musici. Anche se i rifacimenti tardobarocchi ne hanno modificato l’aspetto e alcuni interventi più recenti, sulle coperture delle navate laterali, ne hanno alterato le proporzioni architettoniche la chiesa conserva intatto il suo fascino.La chiesa ha un probabile impianto trecentesco con aggiunte posteriori attestate da un affresco nella lunetta del portale con stemma dell’arcivescovo di Rossano G. G. Lagni (1493-1509). Il campanile, recentemente restaurato, è a torre, ornato ad archetti e sormontato da una caratteristica guglia. Attualmente la chiesa è chiusa. Numerose tele dopo i lavori di restauro della Sovrintendenza alle Belle Arti di Cosenza si trovano custodite presso la chiesa di Sant’Antonio.
Accanto alla chiesa è visibile il Convento dei Carmelitani (sec. XIII) ed i ruderi dell’antico Concio della liquirizia, appartenuta prima ai duchi Saluzzo e poi ai baroni Compagna. Oggi proprietà privata.
Percorso poco meno di cinquecento metri, immediatamente dopo la curva del girone, troviamo la chiesa e Convento di San Domenico (XVII sec.), di cui restano dei ruderi e, posta alle sue spalle, la Chiesa di San Giovanni (XVII sec.). Il prospetto, preceduto da un ampio sagrato, si conclude con un campanile a vela formato da una bifora centinata con finte bugne sui lati e cimasa mistilinea. La facciata a due spioventi, è frutto dei riadattamenti compiuti nel corso dell’Ottocento. La luminosa aula a pianta rettangolare ha l’altare maggiore in fondo alla navata separato, da altri due posti di lato, con una balaustra. L’interno conserva alcune interessanti sculture lignee. Oltre al busto policromo di San Giovanni di Dio sistemato in una nicchia, si ricordano il Crocifisso del XVIII secolo sistemato sopra l’altare maggiore ed un piacevole Gesù Bambino, in posizione eretta, con il capo cinto da una corona con i simboli della passione sbalzati in argento.
Ripresa la vecchia statale e percorsi duecento metri ci appare grandiosa, situata su un poggio alle spalle della villa Margherita, la Chiesa di Sant’Antonio da Padova (sec. XV), senz’altro una della più belle di Corigliano. Si tratta dell’unica chiesa cittadina dotata di una cupola e realizzata sul tipo delle cupole partenopee rivestita di maioliche vietresi.
Rifatta nel 1740, presenta una navata e tre cappelle laterali sormontate da artistiche cupolette: alcune in argilla, altre splendidamente ricoperte di maioliche gialle-blu così come il cupolone centrale d’ispirazione michelangiolesca. L’interno è ricco di stucchi, marmi policromi e decorazioni settecentesche.
La pianta è a croce latina con ampia navata centrale preceduta da un’artistica cantoria, sostenuta da due colonne e dotata di un organo settecentesco del napoletano Filippo Basile. Nelle sei cappelle laterali sono collocate tele di autori napoletani del Settecento. Sui due altari ai lati del presbiterio, spiccano due dipinti: l’Immacolata e l’Estasi di Sant’Antonio opera di Leonardo Antonio Olivieri (1689-1752), allievo del Solimena. Nel cielo al centro della navata troviamo il dipinto di Severino Ferrari, datato 1740, raffigurante San Francesco che ha la visione del Crocifisso. Nella sacrestia vecchia è situato nella Cappella Abenante il Mausoleo di Barnaba Abenante (1522), un severo quanto armonioso esempio di scultura rinascimentale. Nella stessa sacrestia recentemente restaurata troviamo un Cristo in croce in legno, di autore ignoto del sec. XVIII, con le braccia inchiodate alzate verticalmente ed il capo rivolto in alto, secondo la visione teologica dei Francescani.
Accanto alla Chiesa, il convento dei Liguorini. Successivamente adibito a Ginnasio Garopoli ed oggi sede degli Uffici Tecnici e Cultura del Comune.
Risalendo lungo la pittoresca via Roma, si è sovrastati dal Ponte Canale (1480), alto circa 20 metri, in stile romanico, a doppio ordine di arcate, costruito nella seconda metà del Quattrocento. Secondo la tradizione si deve al santo patrono la costruzione dell’acquedotto a sette arcate che consentì di portare l’acqua dalla collina di San Francesco al borgo antico.
Arrivati in Piazza del Popolo (già “Acquanova”), animato luogo di ritrovo del paese, è possibile apprezzare interessanti palazzi storici come Palazzo Bianchi, Palazzo Romanelli, Palazzo dell’Orologio e Palazzo Compagna. Proseguendo a sinistra per via San Francesco, si sale in Piazza Vittorio Veneto, ove è innalzato il Monumento ai Caduti e, a destra, il complesso Chiesa e Convento di San Francesco di Paola e annessa Chiesa di San Giacomo (XV secolo). La chiesa di San Francesco di Paola (patrono della città dal 1598) è a navata unica con soffitto ligneo a cassettoni e conserva nella sua semplice architettura elementi stilistici settecenteschi.
La Chiesa e il Convento dei frati Minimi vennero costruiti direttamente dal Santo venuto a Corigliano nel 1476 su invito di Girolamo Sanseverino. La chiesa è la IV casa dopo quella di Paola, Pedace e Spezzano Albanese. Questa presenta una facciata di grande semplicità, incorniciata da due lesene terminali che sorreggono un frontone diffusamente decorato, recentemente (2006) sono state riaperte le due finestre barocche.
Dietro il settecentesco altare in marmo si trova un pregevole coro ligneo, opera dell’artigiano rossanese Pasquale Pelusio (1776). Nel presbiterio, sulla parete di fondo, una grande tela di Felice Vitale da Maratea, Trionfo del nome di Gesù. Sopra di essa una SS. Trinità, tavola di Pietro Negroni (1505-1565). Sotto la grande tela durante alcuni lavori di manutenzione nell’autunno del 2005 è stato ritrovato un grande affresco del XIV sec. Interessante, lungo la parete destra della navata, sotto il pulpito, l’affresco che raffigura la Madonna della melagrana, riconducibile al XVI secolo. All’interno della chiesa sono conservate alcune preziose reliquie di San Francesco: un pezzo della sua canna, un cordone, un crocifisso di ottone. Un reliquiario d’argento, contenente un pezzetto del suo costato, è inserito nel busto ligneo policromo del santo. A fianco della chiesa si può notare l’ex chiesa di San Giacomo (Oratorio beato Feltron).
Davanti alla chiesa è posta una statua in marmo del Santo (1779), voluta dalla cittadinanza, dal duca Giacomo Saluzzo e dal sindaco Giacomo Maradea, per ricordare l’intervento del Santo a favore della città durante il terremoto del 14 luglio 1767.
Tra la chiesa e il convento troviamo la torre campanaria, in mattoni, che resta visibile solo per i due ordini superiori con in alto l’orologio.
Vicino alla chiesa si trova San Francischiello, il Romitorio che ospitò il Santo di Paola durante il suo soggiorno coriglianese nel 1476-1478 quando, rifiutando l’ospitalità che gli veniva offerta in sontuose dimore dal Saluzzo, preferì la solitudine e il raccoglimento in quella che allora non era che un’umile capanna, circondata da una verde vallata. Nel 1975 durante i lavori di restauro vennero alla luce alcuni affreschi di notevole fattura e datati 1636. All’interno del Romitorio è conservata con venerazione la “pietra” che, secondo la tradizione, servi da duro giaciglio a San Francesco.
Proseguendo ancora per viale Rimembranze si raggiunge la Chiesa di Sant’Anna (sec. XVI) e tradizionalmente chiamata dei Cappuccini. Venne edificata nel 1582, insieme con l’annesso convento -dal 1929 Ospedale Giuseppe Compagna- ad opera del padre Matteo Persiani.
La facciata, tardo barocca, è scandita da tre lesene composite. Il portale d’ingresso architravato è completato in sommità da una lunetta che accoglieva tre affreschi, di cui però oggi è visibile solo quello centrale Madonna con Bambino.
La chiesa conserva numerose opere d’arte soprattutto lignee. Sull’altare maggiore, un monumentale polittico (1607) di Ippolito Borghese (sec. XVII), noto manierista napoletano. L’opera, contenuta in una elegante struttura lignea, è divisa in sei riquadri. Nella parte superiore, una Crocifissione con ai lati un San Ludovico da Tolosa e San Bonaventura. Nella parte inferiore, una Madonna con Bambino e S. Anna; ai lati un San Francesco d’Assisi e un Sant’Antonio di Padova.
Sulla parete destra, una stupenda tela raffigurante la Flagellazione di Gesù di autore ignoto. Meravigliose le opere lignee tra queste un pulpito pensile poggiato su un confessionale e le balaustre finemente modanate, dopo il pulpito segue una Madonna in gloria di Ippolito Borghese. Nelle cappelle di sinistra: una Madonna della conciliazione, con ai lati due Angeli adoranti di I. Borghese; un Gesù Bambino dormiente di Borghese; un busto in creta dell’Ecce Homo, portato dalla Spagna dal padre Matteo Persiani; una Annunciazione sempre di Borghese. Il convento è famoso per aver dato più volte ospitalità al Beato Angelo di Acri (1669-1739).
Altra tappa fondamentale di questo “itinerario spirituale” è il Calvario (XVII sec.). Una piccola cappella voluta dai padri Cappuccini ed edificato in posizione isolata su un modesto rilievo di fronte alla loro chiesa.
L’edificio pur senza forte caratterizzazione architettonica è a pianta centrale. L’interno, dentro un arco della parete, accoglie un semplice altare in stucco sul quale domina un Cristo crocefisso. Il Calvario costituiva l’ultima stazione nelle processioni della via crucis.
Ritornando in Piazza del Popolo e proseguendo invece a destra, per corso Umberto, come d’incanto, giunti in piazza Vittorio Emanuele dove è posto un busto in onore del barone Guido Compagna (opera del maestro Francesco Jerace), appare il Castello Ducale.
Il fortilizio dovette certamente far parte della linea difensiva che il condottiero normanno Roberto il Guiscardo venne attuando fra il 1064 e il 1080 nella Valle del Crati per controllare e assediare le città e i territori insofferenti al suo giogo, tra cui la vicinissima bizantina Rossano. La data di costruzione che si è andata consolidando nel tempo attraverso i pochi e frammentari documenti storici è il 1073.
Il Castello, costruito originariamente a mo’ di fortezza, andò soggetto ad una serie di trasformazioni e rimaneggiamenti che ne mutarono e ampliarono la struttura originaria principalmente nel periodo angioino e aragonese per meglio resistere agli assedi nemici.
A Roberto Sanseverino, IV conte di Corigliano dal 1339 al 1361, fu dovuto il primo intervento trasformativo che da un lato servì ad adattare parte del castello a residenza signorile e dall’altro fece assumere all’edificio l’aspetto tipico dell’architettura fortificata in epoca angioina. Secondo la tradizione locale vi nacque nel 1354, Carlo, che nel 1381 diventerà re di Napoli col nome di Carlo III. Dal 1487al 1495 il castello passa all’Amministrazione regia diventando sede di una guarnigione militare. Nel corso di questa parentesi regia, durata otto anni, il nostro castello venne restaurato per committenza reale, come attesta l’iscrizione della lapide collocata con lo stemma d’Aragona sulla facciata d’ingresso ponte elevatoio: “Il re Ferdinando d’Aragona figlio del divo Alfonso nipote del divo Ferdinando fece restaurare, con danaro di bronzo raccolto pubblicamente, questa rocca, in rovina per antichità, per tenere in fedeltà i cittadini, nell’Anno del Signore 1490”. L’intervento è evidenziato dal basso torrione rotondo angolare (oggi Mastio), innestato sul corpo di fabbrica a base quadrata con torri cilindriche nei vertici secondo i punti cardinali. È probabile che il “restauratore” aragonese del nostro castello (Rivellino compreso) sia stato Antonio Marchesi da Settignano, allievo del grande Francesco di Giorgio Martini, architetto militare del re a Napoli e noto nelle corti di tutta Europa.
Nel 1515-1516 il conte Bernardino Sanseverino e poi nel 1540 il figlio Pietro Antonio iniziarono una serie di interventi di ristrutturazione e modifica del castello, tendenti a sistemare le varie parti della fabbrica: i bastioni, le torri, l’abitazione, le opere di difesa, il fossato, le prigioni, ecc.
Fra il 1616 e il 1649 si perfezionò il passaggio di proprietà del feudo e del castello di Corigliano dai Sanseverino ai Saluzzo, ricchi finanzieri genovesi, operanti a Napoli.
Nel 1649 Filippo IV concesse ad Agostino Saluzzo il titolo di duca di Corigliano per essersi mirabilmente distinto in occasione della Rivoluzione masanielliana.
Fra il 1650 e il 1720, Agostino I e Agostino II ordinarono nuovo lavori di ristrutturazione e di restauro del castello. In seguito a questi interventi, l’edificio assunse l’aspetto che, buona parte, si conserva tuttora. Ad Agostino II si deve la costruzione della torre ottagona (sopralzo) che sovrasta il mastio, della Cappella S. Agostino, di due spaziose rampe di scale di accesso al castello che sostituirono la precedente “salita senza gradi” (attuale corridoio delle armi) e di alcune stanze sui lati nord e sud e di altre sopra il Quarto Nobile. Sotto Agostino II furono rimaneggiati “gli interni del castello… furono arricchite di decorazioni varie stanze, la messa in opera di una balconata esterna alla Sala del Trono”, completati i lavori di restauro di tutte le sovrastrutture e coperture. Così arricchito e rimesso a nuovo, il castello poté ospitare, tra il 27 e il 28 gennaio del 1735, il re delle Due Sicilie, Carlo III di Borbone, che vi fece tappa nel corso del suo viaggio verso Palermo.
L’ultimo assedio della sua storia lo subì ad opera del generale napoleonico Reynier che nel 1806 ordino il saccheggio e l’incendio della città. Coloro che vi si erano rifugiati con le loro famiglie nelle sue mura si arresero quando videro il cannone del maggiore Griois puntato contro la porta del maniero.
Nel 1828 il feudo e il castello di Corigliano vennero acquistati da Giuseppe Compagna.
Luigi, secondogenito di quest’ultimo, nella seconda metà del secolo scorso, si occupò con particolare cura del Castello ordinandovi gli ultimi lavori di restauro e di modifica e abbellimento, sia all’interno che all’esterno. Tra i lavori bisogna ricordare: la trasformazione del fossato in villetta; gli affreschi della volta della cupola della cappella di S. Agostino ad opera del maestro fiorentino Girolamo Varni, come pure il sopralzo della torre Mastio; il cosiddetto Salone degli Specchi, un capolavoro di arte decorativa dovuto a Ignazio Perricci da Monopoli (lo stesso che successivamente venne chiamato a realizzare il Salone degli Specchi – fotocopia – al Quirinale); il trittico del 1872 della «Madonna delle Rose» con ai lati S. Agostino e S. Antonio Abate, opera del maestro Domenico Morelli, il più celebre ottocentista napoletano, sovrastante l’altare della cappella di S. Agostino.
Nel dicembre del 1891 in occasione del soggiorno del re Vittorio Emanuele di Savoia, allora Principe di Napoli, ospite del barone Francesco Compagna, venne ricavato nella torre sud-ovest, tra il Piano Nobile e le prigioni, il “bagno del barone”.
Nel maggio del 1932 vi fece una fugace visita, insieme alla consorte Maria José, Umberto di Savoia, all’epoca anch’egli Principe di Napoli e futuro re d’Italia.
Il 9 agosto 1971 l’On. Francesco Compagna, vendette il castello e gran parte di quello che vi era contenuto alla Mensa Arcivescovile di Rossano per la simbolica somma di mille lire. Offerta rifiutata dal Comune di Corigliano per via delle smisurate condizioni di degrado che il castello versava.
L’11 marzo 1979 venne acquistato dalla Mensa Arcivescovile di Rossano dall’Amministrazione Comunale di Corigliano. Gli ultimi lavori di Restauro e destinazione d’Uso a Museo Castello Ducale hanno avuto inizio ad opera del Comune di Corigliano Calabro nel 1988 con un finanziamento del Ministero per gli Interventi Speciali per il Mezzogiorno (Legge n. 64/86) e si sono conclusi nel 2002. Dal 2003 il Castello è gestito dall’A.T.I. Framundo che prende il nome dal primo castellano. (fonte Museo Castello Ducale).
A fianco del Castello, fondata su colossali bastioni, sorge la Chiesa di San Pietro e Paolo (XI sec.), ma rimaneggiata nel Settecento.
La facciata, di stile neoclassico, è caratterizzata da due ordini sovrapposti: quello inferiore scandito da sei lesene rettangolari sormontate da capitelli, quello superiore da quattro paraste. Tra queste una grande trabeazione con sopra un timpano. Il portale centrale, che si conclude con un timpano, presenta due cornucopie laterali e le chiavi simboli dell’apostolo Pietro.
La pianta è divisa in tre navate da due file di colonne con decorazioni barocche. All’estremità della navata sinistra si erge la torre campanaria che all’ultimo piano presenta, sul lato nord, un orologio. Di notevole valore storico artistico: un fonte battesimale del seicento con stemma (ricavato da un antico capitello di Sibari); l’altare maggiore con paliotto a tarsie marmoree policrome (sec. XVIII) e, su delle mensole, due busti in legno di S. Pietro e S. Paolo. Seguono tele settecentesche come Immacolata con due santi Madonna del Rosario con santi, un San Leonardo ed una Annunciazione. Nella navata di destra, altre due tele settecentesche di autore ignoto: Madonna con Bambino e santi e Crocifissione. Accanto ad esse, due dipinti di Nicola Domenico Menzele: Sacra Famiglia (1762) e Madonna del soccorso (1763).
Sulla volta della navata centrale, una tela raffigurante Cristo che consegna le chiavi all’apostolo Pietro. Nel presbiterio un olio su tela proveniente dall’abbazia del Patire, San Basilio abate. Particolarmente interessante il coro in legno restaurato nel 1902 e composto da 22 stalli e da un trono centrale.
Appoggiato all’ultima colonna di destra, un pulpito sormontato da baldacchino sul quale troneggia lo stemma della città.
Opera più importante della chiesa è la tavola de Odigitria (XV sec.). Opera dipinta su tutte e due i versi: la Madonna Nèa Odighitria (fronte) e Crocifissione (retro).
Proseguendo a sinistra della chiesa si giunge, percorrendo la caratteristica stradina medievale e oltrepassato il vecchio municipio, nel borgo antico cittadino dove un piccolo slargo accoglie la Chiesa di Ognissanti o di Santoro (XII sec.).
Poche le fonti storiche anche se alcuni riferimenti documentari certi su l’ecclesia de Sanctorio ci portano al Cinquecento. Alla fine del Settecento (1783) per un periodo passò alle dipendenze della chiesa di San Pietro. Nel 1887 a causa di alcuni dissesti la vecchia chiesa rovinò in gran parte al suolo e l’edificio venne ricostruito con un orientamento diverso rispetto alla fabbrica precedente. L’orientamento della chiesa fu invertito con conseguente trasformazione del presbiterio in vestibolo. I lavori intrapresi nel 1889 furono ultimati nel 1904. Presenta una sobria facciata mentre l’interno, sull’altare maggiore, una nicchia accoglie la statua di una Madonna con il Bambino del XIII sec. L’unica cappella di questa chiesa, jusNatività realizzata alla fine del ‘700. Una Crocifissione ed una Madonna con San Giorgio dipinta da Gaetano Adamo nel 1857 sono le altre tele degli altari laterali. L’arredo sacro fu completato nel 1728 con un organo a due ante realizzato da Domenico Magini, sistemato sulla cantoria posta sull’atrio d’ingresso. Il soffitto ligneo è a cassettoni.
Ritornando indietro proseguendo a destra della chiesa di SS. Pietro e Paolo lungo un caratteristico vicolo detto strittulilli, ricavato nei secoli, tra le mura perimetrali della chiesa e del Castello, dalle famiglie proprietarie del maniero proprio per assicurarsi la fuga in caso di assedio, giungiamo alla piccola Chiesa dell’Addolorata (XVII sec.), costruita sotto le mura bastionate della chiesa di SS. Pietro e Paolo.
Al suo interno è possibile ammirare alcune preziosità come dipinti e arredi lignei provenienti dal Castello. Interessante l’organo-cantoria, finemente cesellato in legno e dipinto a tempera, che occupa l’angolo dell’oratorio, una Crocifissione a tutto tondo e una settecentesca statua lignea raffigurante l’Addolorata. Nel locale che funge da sagrestia si ammirano due tele del XVIII sec. raffigurante Madonna col bambino fra i santi Antonio abate e Agostino e una Annunciazione.
Dalla piccola chiesa proseguendo lungo la via, si giunge alla piazza più antica, già mercato e centro cittadino, il “Fondaco” o Piazza Cavour che ci conduce alla Chiesa di Santa Maria Maggiore una volta Santa Maria Assunta della Platea o della Piazza (sec. X).
Nel corso dei secoli è stata sottoposta a numerosi restauri: particolarmente significativi quelli del 1744 e quelli del 1981. Nel timpano della facciata barocca è collocata una statua in legno della Madonna Assunta. Il parroco di Santa Maria Maggiore porta il titolo di Arciprete.
Sulla facciata del campanile, che nei secoli ha avuto anche funzione di torre civica, si trova una meridiana con i segni dello zodiaco. La torre campanaria è visibile per solo tre ordini: il primo tamponato, il secondo che accoglie le campane, il terzo con gli orologi. La chiesa ha una sola navata, con tre cappelle laterali a sinistra. Un’orchestra, sostenuta da due colonne, contiene un organo di grandi dimensioni e di notevole valore artistico, costruito nel 1757 da Pasquale Iori e restaurato nel 1983. Dopo l’ingresso, a sinistra, un bel Fonte battesimale di marmo policromo intarsiato (1782). Sulla parete laterale destra sono poste quattro tele: una Sant’Agata in carcere attribuita a Cesare Fracanzano (1605-1652); una Crocifissione di autore ignoto; un S. Francesco d’Assisi ed un S. Francesco Saverio. In mezzo a queste due ultime tele e prima del presbiterio, si trova un pregevole blocco ligneo di certa fattura settecentesca, con confessionale sormontato da pulpito e baldacchino. Nella volta, in alto, in corrispondenza delle cappelle laterali, tre dipinti: una Visitazione, una Adorazione Eucaristica ed una Assunzione. Nel catino dell’abside, una Madonna Assunta. Particolarmente interessante l’altare maggiore, di marmo commisso, risalente alla metà del XVIII secolo e dietro di esso, un bel coro in legno del tardo settecento. Pregevoli il Battistero a forma templare con tarsie policrome.
Nella prima cappella troviamo un dipinto che raffigura la Visitazione di Maria a S. Elisabetta mentre nella seconda, detta del SS. Sacramento un altare di marmo, magnificamente lavorato e nella terza cappella la Glorificazione di Santo Stefano. Nella sacrestia sono conservati alcuni stipi, opera di artigiani locali del ‘700 e sul soffitto della chiesa l’Ultima cena. Due tele sono collocate sulle pareti, una Santa Rita da Cascia ed una Santa Lucia. All’interno si custodiscono, inoltre, preziose tele, un magnifico pergamo in legno, nonché il più fornito archivio parrocchiale della Diocesi.
Proseguendo per la via Toscano si giunge alla chiesa di San Luca (XV sec.).
La chiesa è inserita in un tessuto urbano tipicamente medioevale di vicoli, scalinate, slarghi. Posta tra la domus abbatialis di Santa Maria del Patire, del quale resta il chiostro, e casa Castriota, a ridosso delle mura urbane.
La facciata della chiesa, a terminazione orizzontale, ha un portale centinato in tufo intagliato (sec. XVI) con arco in pietra. Ai lati si aprono due finestre in stile del barocco locale. L’interno, a navata unica, è completamente spoglio privo anche dell’altare. Poche sono le opere d’arte di questa chiesa che per le condizioni di degrado è chiusa al pubblico. vale la pena ricordare un Crocifisso ligneo del XVII-XVIII secolo, un busto ligneo di San Giovanni da Capestrano e alcuni volumi in pergamena dell’archivio parrocchiale raccolti, insieme alle altre cose, nella chiesa di Santa Maria.
Lasciata la chiesa e tornati indietro in prossimità della Chiesa di Santa Maria si scende per una fitta rete di viuzze e vicoli, compresa Porta dei Brandi (unica testimonianza che rimane delle mura di cinta che circondavano la città in epoca medievale) ci si avventura ne “I Vasci”, zona bassa della città, dalla caratteristica struttura medievale; oppure ci si porta in Santa Maria di Costantinopoli detta Riforma (XVII sec.), rinomata per i suoi legni intagliati dai padri Riformati che occupavano il convento di San Francesco, all’inizio del secolo scorso.
La facciata, sobria ed elegante, conclusa da un frontone curvilineo scandito da dentelli a mensola, è caratterizzata da un ampio portale centrale architravato e decorato da cornicione e paraste. Su quest’ultimo è situato un ovale contenente uno stemma vescovile. Proseguendo più in alto, racchiuso in una fine cornice, un affresco che raffigura una Madonna con Bambino, S. Chiara e S. Francesco. La chiesa è formata da una navata centrale e, a sinistra, da quattro cappelle. Interessante il Coro, sormontato da un magnifico gruppo scultoreo ligneo della Crocifissione. Il soffitto si presenta ligneo a cassettoni con al centro il dipinto Madonna di Costantinopoli di Luigi Midolla(1842). Su una parete laterale spicca una Immacolata (1699). La stessa è chiusa al culto per l’avanzato stato di degrado in cui versa l’intero complesso. Recentemente è stato recuperato parte del convento e riadibito a Teatro Valente.
Poco distante troviamo la chiesa di Santa Chiara o delle Monachelle (XVIII sec.).
La facciata, tardo-barocca, è distinta in due ordini architettonici, entrambi sormontati da cornicione con ricca cimasa, che in quello superiore si conclude con timpano centrale. Ai lati del portale d’ingresso, due tondi con le figure di S. Chiara e S. Francesco. Un terzo tondo, sopra il portale, reca il simbolo dell’Ordine francescano. L’unica navata, decorata con motivi tardo-barocchi, è preceduta da un’ampia orchestra chiusa da artistica cancellata. Sulla parete sinistra, al di sopra di tre altari, sono collocate altrettante tele settecentesche: una Madonna con Bambino, con ai piedi S. Chiara ed angelo; un S. Michele Arcangelo (1762) di Nicola Domenico Menzele ed una Sacra Famiglia. Sulla destra abbiamo un olio su tela, Bambino in gloria adorato da tre Francescani; una cantoria con un bellissimo organo del 1735 racchiuso in un pregiato mobile; una Madonna circondata da angeli. L’altare maggiore, in marmi policromi, è delimitato da una balaustra in ferro battuto. Su questa si possono distinguere quattro cornucopie, simbolo di Corigliano. Ai lati, due ritratti di vescovi, inscritti in due tondi e dietro, una Madonna con bambino, con ai piedi S. Chiara e S. Francesco. Sopra, una SS. Trinità. Nella navata in alto possiamo ammirare S. Chiara e suore di clausura che difendono il Santissimo dall’assalto di guerrieri (1762) di P. Costantini. La chiesa è chiusa al culto.