Guido Harari: Spiaggiamenti
Guido Harari ha cominciato nei primi Settanta a collaborare, come fotografo e giornalista musicale, con numerose riviste e case discografiche. Ha esplorato poi anche il reportage, il ritratto istituzionale, la moda, la pubblicità, la curatela di mostre e libri, e la grafica.
Sue numerose copertine di dischi per artisti come Kate Bush, David Crosby, Bob Dylan, BB King, Paul McCartney, Lou Reed, Simple Minds e Frank Zappa. In Italia ha collaborato soprattutto con Claudio Baglioni, Vinicio Capossela, Paolo Conte, Pino Daniele, Fabrizio De André, Ligabue, Gianna Nannini, PFM e Vasco Rossi.
È stato uno dei curatori della grande mostra multimediale su Fabrizio De André, prodotta da Palazzo Ducale a Genova. All’artista genovese, di cui per vent’anni è stato uno dei fotografi personali, ha dedicato tre libri: E poi, il futuro (2001), Una goccia di splendore (2007) e Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock (con Franz Di Cioccio, 2008).
Tra i suoi libri illustrati Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, 2004), Vasco! (2006), Mia Martini. L’ultima occasione per vivere (con Menico Caroli, 2009), Gaber. L’illogica utopia (2010), Quando parla Gaber (2011), Vinicio Capossela (2012) e Tom Waits (2012).
Nel 2011 ha aperto ad Alba, in Piemonte, dove risiede da diversi anni, un suo spazio fotografico, Wall Of Sound Gallery, interamente dedicato alla musica.
www.guidoharari.com – www.wallofsoundgallery.com
Corigliano a maggio. Dalla radio solo notizie sull’impotenza del nuovo governo e sull’interminabile pantomima dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Mi pare di leggere il mio sconforto negli occhi di tutte le persone che incontro. Come approcciare il progetto di una mostra – 40 ritratti in 5 giorni! – quando si è smarrita la bussola dei propri sentimenti e l’ispirazione è in corto circuito? I pesci in asfissia che fotografo al mercato sono il mio autoritratto più azzeccato. Corigliano pare più un paesaggio dell’anima che una visione reale: uno spiaggiamento dopo l’altro, dalla piazza centrale, ormai amputata senza rimedio delle sue palme, alle stradine intorno aggredite dai graffiti, in cui si riuniscono gruppetti e coppiette di adolescenti che ora, col tragico senno di poi, non possiamo che guardare con altri occhi; dalla saudade dei pescatori che tornano a fissare il mare anche nel giorno di ferie, ad una riflessione su un’infanzia ingannata e tradita nel ritratto del bambino che fa spallucce davanti alla scritta sul muro che strilla (falsamente) “Sei la mia vita”. È un tempo sospeso, quello che respiro a Corigliano, quasi un destino rimandato, l’incertezza del futuro di una volta che si è smarrito forse per sempre. L’identità di questa comunità si riafferma e rinsalda solo in occasione dell’annuale processione del Santo, nel rinnovarsi di un’antica tradizione.
Per dieci anni Corigliano è stata guardata da altrettanti maestri della fotografia in chiave di reportage. Mai nessuno però l’aveva indagata in quella del ritratto. Così mi sono imbarcato in una sorta di viaggio sentimentale in salsa blandamente antropologica, senza farmi sopraffare dal luogo e dai suoi abitanti, sapendo che ogni approfondimento sarebbe stato impossibile dato il poco tempo a disposizione. Cosa racconta il mio sguardo di straniero? Suggestioni, insinuazioni, silenzi, ricordi, miraggi, abbagli, e sicuramente un senso di orgoglio e di appartenenza malgrado la deriva e il degrado. La sfida sta tutta nel lapidario titolo del libro che campeggia in una di queste fotografie: “Perché il Sud”. Perché si. Infine, l’unico rammarico è che nessuna di queste immagini potrà restituirvi la voce di Gaetano Gianzi che, all’appassionata maniera di Peppino di Capri, canta in napoletano. Anche la fotografia ha i suoi limiti.
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