Ken Damy
Ken Damy
VIAGGIO IN TIBET – 1998
Nato a Orzinuovi nel 1949, diplomatosi maestro d’arte nel 1968, molto presto si dedica all’insegnamento, prima all’istituto d’arte G. Savoldo di Brescia e poi all’Accademia di Belle Arti di Urbino, a Bologna, a Venezia e infine a Brera, Milano.
Artista poliedrico: fotografo, grafico, creativo.
Direttore artistico e fondatore del Museo Ken Damy di fotografia contemporanea dal 1990.
Collezionista di fotografia.
Ideatore e direttore artistico della Biennale Internazionale di fotografia di Brescia, anteprima nel 2002, fino al 2010.
Negli anni ha fotografato per le gallerie d’arte contemporanea di Piero Cavellini e Massimo Minini ed ha collaborato con le riviste Zoom e Progresso fotografico .
Ha all’attivo numerose pubblicazioni, mostre personali in Italia e all’estero ed ha curato più di 600 mostre di autori internazionali.
Ha realizzato reportage fotografici dedicati a Vietnam, Cambogia, Messico, India, Cuba, Guatemala, Tibet, Nepal, Marocco, Tunisia, Stati Uniti, Egitto, Eritrea, Perù.
Dagli anni ’90 si dedica principalmente alla fotografia di ricerca con particolare interesse per il nudo e la fotografia di viaggio.
Da 10 anni vive ad Aieta in Calabria dove oltre alla fotografia si dedica alla pittura e alla grafica.
Ken Damy
Viaggio in Tibet - 1998
Per un fotografo i paesi da visitare per la prima volta rappresentano sempre una sfida con se stessi. Troppi colleghi studiano i percorsi cercando informazioni e, a volte, certezze per non tornare a mani vuote.Io ho sempre scelto l’incertezza, con una buona dose di rischio.
Con il Tibet il rischio era alto, l’altitudine in primis; sempre oltre i 4.000 metri non è facile anche solo respirare. Il freddo soprattutto di notte ecc.. Cose che tutti sanno, ma sempre, a seconda dei luoghi, diverse. Raggiungere il Tibet via terra partendo da Katmandu è stata una vera avventura. Rischiosa, molto rischiosa. La strada ogni tanto spariva inghiottita dai fiumi. Dovevamo scendere dai camion. Andare a piedi fino al passaggio successivo. Era crollato l’unico ponte transitabile con otto ore di deviazione per il guado. E’ stata un’avventura, rischiosa, faticosa, bella. Con il senno di poi. Ne è valsa la pena. Il paesaggio, sempre con una luce splendida, variava di continuo. La gente che incontravamo era splendida: allegra e socievole, nonostante la miseria. Sembravano contenti di vedere persone diverse, vestite diversamente da loro. Nessuna difficoltà nel farsi fotografare, cosa che avviene spesso in paesi a noi più vicini. L’architettura dei monasteri, colorati con cromie audaci, è sorprendente. I bambini curiosi si avvicinavano e volevano toccarci. Ho scoperto un paese unico in tutto. E questo mi è bastato. Non so quanto sia rimasto dopo l’avvento dei Cinesi, che allora si notavano solo nella capitale. Le notizie non sono buone, ma i tibetani sono forti.
Free Tibet per sempre.
Ken Damy . ottobre 2021. venticinque anni dopo, ma mi sembra ieri.
PS non parlo volutamente dei monaci, della loro religione pacifista e pacifica, troppo difficile da interpretare per me, ateo convinto, agnostico per scelta.