6a Edizione - 2008

P. Bloisi "Oliveria: un poeta del bianco e nero"

Aderendo all’invito di Pasqualino Adduci e Pino Genise, in occasione della sesta edizione del Festival Corigliano Calabro Fotografia, ho incontrato per la prima volta, nell’agosto 2008, Flavio Oliveria, artista di grande talento e di carattere gioviale.
Uno dei dettagli più vividi  di questo incontro è stata la sua Leica da cui l’artista  non si separa: essa  porta i segni di una lunga vita e di un uso intenso nelle sue straordinarie avventure. Quando ne parla o la maneggia lo fa con  abilità e competenza, con rispetto e cura, direi con vero amore. Oltre ad essere uno strumento del suo quotidiano e duro lavoro, è anche una sorta di estensione corporea nello spazio e nel tempo, la custode di quella profonda visione interiore che porta con sé  e che infonde nelle sue immagini quotidiane il senso di quanto vi è in essa di solitamente nascosto o sottaciuto.

Ho osservato alcune immagini fissate da Oliveria: esse  rappresentano una vita vissuta due volte;  la prima è quella esposta e rivelata senza sconti né camuffamenti, impietosamente, seppure con compassione profonda;  l’altra è invece  la vita interiore, dietro l’immagine e al di là di essa, percepibile solo con la mente, col senso profondo di una umanità condivisa, nella sua fragilità e mortalità che ci accomuna.
Flavio, giocando sulla creatività, sulla sua capacità artistica, sulla composizione e sulle tecniche fotografiche, riesce a regalarci immagini di grande effetto sulla condizione umana.
Le foto di questo straordinario artista  fanno parte di un progetto che rende visibile ed esplicita la relazione fra sopravvivenza e ambiente degradato e abbrutito, dove i bambini  sono costretti a crescere; le immagini narrano, con umana pietas, di  comunità che si mantengono attraverso il riciclaggio e la raccolta differenziata della spazzatura prodotta dalle grandi città.
E ci mostrano, ancora,  come l’ambiente venga deturpato e predato  della sua identità.  I bambini, in tale racconto di denuncia sociale, risultano vittime innocenti della società del consumo e dello spreco, prigionieri incapaci di dare altro orizzonte al loro futuro opaco e triste, senza speranza alcuna di riscatto e di redenzione.
Flavio è persona amabile, generosa e leale, un vero cultore dell’amicizia e degli affetti. E’  disarmante nel suo proporsi, con un linguaggio semplice, immediato anche se non sempre di facile comprensione, poiché intriso di gestualità e di bilinguismo. E’ persona gradevole, presenza che esprime freschezza e sincerità nei rapporti e  grande comunicatore.
Sono certo che Flavio è uno dei pochi che ha saputo catturare la vita, i paesaggi e il popolo del Brasile con tanta profondità e intensità. Commuove sentire Flavio parlare di questi ragazzi nella piena fioritura della loro adolescenza e della loro tragica vita : per lui quelli che inquadra nel suo obiettivo non sono mai solo volti da fotografare, gente incontrata, fotografata e dimenticata, ma persone, protagoniste di una storia, ciascuna con la propria  intera biografia. E’ come se nel momento dello scatto, Oliveria l’avesse riassunta nel suo insieme: il prima e il dopo di quell’attimo decisivo.
E’ come se Flavio si facesse carico, in ogni sua fotografia, di vigilare sul soggetto, sulle sue possibilità: come se si sentisse responsabile delle persone che incontra attraverso il suo obiettivo e della sorte cui vanno incontro.
Questo si vive dentro guardando il mondo dall’artista descritto: donne, uomini e bambini che vengono derubati della loro vita, il viso del bambino dietro la palizzata che guarda il mondo con l’innocenza e la delusione dell’adolescenza non vissuta, lo smarrimento esistenziale negli occhi di chi non ha diritto alla speranza e al futuro, il gruppo di bambini che rivelano il  senso di stupore e di tristezza davanti all’insondabile mistero della vita, la fierezza, la malinconia e i fugaci attimi di felicità strappati  alla disperazione nei volti delle donne, la vastità delle sofferenze, frutto della violenza  della corruzione e dell’indifferenza dei governanti.
Oliveria lavora sul bianco e nero. Ha sempre pensato che rispetto alla fotografia a colori, la differenza sia parallela a quella che esiste  fra prosa e poesia. Nella poesia l’intero patrimonio delle risorse di una lingua è ricondotto all’essenziale, permettendo  a ogni singola parola, isolata dai suoi appigli sintattici, di emergere in tutta la sua pienezza.
Analogamente, una immagine spogliata del colore può essere plasmata nella purezza della luce e dell’ombra e rivelare, attraverso l’esiguità stessa delle risorse, tutto il peso e il valore di quelle luci e ombre, costringendoci a un nuovo modo di vedere il mondo, letteralmente “in una luce diversa”. Il colore per Oliveria è una aggiunta, qualcosa che non fa parte integrante del suo mondo.
Sia che si tratti di una figura umana o di un sorriso innocente, o della limpidezza dell’infanzia, il  poeta del bianco e nero è capace di sfrondare tutto il superfluo da un’immagine per rivelare l’essenza stessa dell’umanità  con tratto  asciutto ed essenziale.
Sicuramente le immagini sofferenti di Flavio sono un segno di attenzione e di amore nei riguardi di una umanità  flagellata e soffocata dal dolore e dalla miseria, ma mai disperata, nell’attesa di un raggio di luce che possa illuminare, riscaldare,  confortare e conferire dignità e rispetto agli uomini e alla terra.
Per Flavio la fotografia è creatività, interpretazione palpitante della vita e della natura e fotografare è missione e passione insieme. E questa sua passione è la migliore testimonianza di quanto, Flavio, ami la vita nelle sue molteplici e variegate espressioni e di quanto vuole comunicarci senza perdere di vista i valori morali essenziali sui quali si fonda la comunità umana.
Flavio denuncia l’invivibile, grazie ad uno scatto che potrebbe restituire senso   all’ambiente, dignità  alle persone,  futuro ai bambini derubati della loro anima.
In modo inequivocabile, Flavio ci ha lasciato un forte messaggio che può diventare una splendida realtà:
“Poiché siamo la causa dei nostri problemi ambientali, siamo noi che li controlliamo, e possiamo scegliere se continuare a causarli o cominciare a risolverli”. Ecco perché viviamo nella peggiore delle epoche, ma anche nella migliore, perché abbiamo ancora una speranza per salvare questa povera umanità alla deriva.

P. Bloisi

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