UMBERTO VERDOLIVA

LA CANTATA DEI GIORNI DISPARI

Umberto Verdoliva è nato nel 1961 a Castellammare di Stabia in provincia di Napoli.

Vive a Treviso.

Ha amato immediatamente la fotografia di strada, consapevolezza che nel tempo lo ha spinto ad indagare l’umanità, non solo quella incontrata per caso nelle strade, come se facesse parte delle sue cose più care. Un immenso album di famiglia dove “sconosciuti” e “conosciuti” s’intrecciano tra loro attraverso un filo comune fatto di poesia, speranza, bellezza e memoria. Quel “personale quotidiano” che rappresenta il luogo di tutta la sua ricerca.   

Dal 2010 al 2017 è stato membro del collettivo internazionale “ViVo” e nel 2013 ha fondato “SPONTANEA” un collettivo italiano dedicato alla street photography sciolto nel 2019 che ha lasciato un significativo segno nella comunità street italiana.

La fotografia è uno strumento parallelo alla sua vita professionale che utilizza per entrare in un mondo in cui raccontare, sognare, stare bene con se stesso e con gli altri. Racconta  attraverso le immagini, tutto ciò che vive giorno dopo giorno, dalle strade sotto casa, all’ambiente di lavoro, dalla famiglia ai luoghi che frequenta, indagando con occhio attento e con profonda sensibilità il suo vissuto per lasciare tracce e memoria anche di altri.

In questi anni ha realizzato numerosi progetti fotografici, ma anche se distinti, tutti insieme rappresentano un progetto unico, la sua storia di uomo, il suo pensiero sulla vita.

Oltre fotografare, trasmettere la passione per l’arte fotografica curando laboratori, mostre, letture di portfolio, presentazioni, scrivere articoli ed approfondimenti sulla fotografia.

Molte sue foto e progetti fotografici sono stati pubblicati dalle principali riviste di fotografia e premiate in importanti premi di fotografia italiani e internazionali.

Collabora con la FIAF come lettore di portfolio e con la rivista FOTO IT nella recensione di autori e progetti specifici. Nel 2023 è stato nominato Autore dell’anno FIAF.

Umberto Verdoliva

www.umbertoverdoliva.com 

https://www.instagram.com/uverdoliva/?hl=it

mail: photographie@umbertoverdoliva.it

Note di Francesco Cito

“Il mondo in fondo è un gran palcoscenico e la vita una commedia allegra o triste secondo i casi”

Questa massima del grande commediografo Eduardo De Filippo, dovrebbe essere, ed è, la chiave per porre lo sguardo su quest’opera di Umberto Verdoliva, che pur essendo definita lavoro fotografico, nel mio modo di guardare va interpretata più come un’opera teatrale, essendo coerentemente rispondente alla definizione stessa data dal grande drammaturgo napoletano della vita come “palcoscenico”.

Le figure umane, così come colte dall’obiettivo di Umberto Verdoliva, sono percepibili e interpretabili come attori posti sul palcoscenico della vita, loro malgrado, inconsapevoli protagonisti di una commedia che interpreta una realtà napoletana, molto distante da quella turisticamente abusata, fatta di pizze e mandolini. Le opere di Eduardo, le sue commedie, la visione stessa della vita, sono enormemente distanti dai versi di Giovanni Capurro e le note di Eduardo Di Capua autori della celeberrima canzone che è: ’O sole mio. L’opera di Verdoliva definiamola pure fotografica, anche se appare più un acquarello in bianco e nero in cui la commedia della vita verte più sulla mestizia, quella malinconia mista a tristezza, che sovente si incontra sulle facce dei tanti che percorrono il loro cammino attraverso le strade di Napoli.

L’ambientazione si deduce solo attraverso poche immagini, tra cui una in cui compare il Vesuvio visto attraverso una brutta periferia in primo piano. Non certo la solita immagine da cartolina. Il famoso pino è da decenni che più non esiste, abbattuto e mai più ripiantato. Nella foto in oggetto, lo sguardo si sofferma su quell’area che in anni lontani era nota come zona industriale. Era l’Oriente, là dove la fiamma della raffineria proiettava nel cielo lingue di fuoco, rendendo visibile ogni cosa nel buio della notte. Anche dopo il sorgere del sole come sempre da dietro la montagna, la fiamma ardeva ed era visibile da ogni dove. Oggi l’abbandono, il disfacimento di tutto, rende ancora più triste quell’area della città in cui emergono oltretutto più evidenti tutte le miserie. L’immagine contrapposta di un altro luogo, dove lo sguardo di chi guarda si focalizza sul primo piano di questa quinta fatta di palazzi di pregio prospicienti il lungomare e, sovrastati sullo sfondo, da quella collina del Vomero da tempo oramai sommersa dalle colate di cemento come tutta la zona collinare di Posillipo.

Un’immagine che ci riconduce su di un altro palcoscenico della vita, cinematografico, come quello del capolavoro di Francesco Rosi, “Mani sulla città” (1963), in cui fu messo a nudo il sacco di Napoli, e non si intende certo riferirsi a quello subito dalla calata dei Longobardi in epoche remote di cui si è persa traccia nei ricordi della storia.

Nella sua fotografia, Umberto Verdoliva non esercita compiacimento, la sua non è nemmeno una fotografia ruffiana, di quelle che ti fanno strabuzzare gli occhi dalla troppa bellezza, dalle composizioni perfette, dalle profondità di campo di elevata incisione, ma le sue immagini sono essenziali in senso etimologico. L’autore affastella in un miscuglio sapiente elementi raccolti per strada, cercati per caso, congiunti fra loro in un mosaico in cui “la cantata dei giorni dispari” diventa solo il pretesto per raccontare aspetti di vita quotidiana, e non ha davvero importanza se i soggetti siano stati ritratti nelle strade di Napoli o di Milano.

Era il 1945 quando Eduardo De Filippo scrisse e presentò “Napoli Milionaria”. In essa Eduardo affrontava tutti i problemi di una società sopravvissuta alle distruzioni della guerra, alla disgregazione della famiglia e di tutti quei valori che non saranno più ritrovati. Fu la prima delle opere a far parte della raccolta “La cantata dei giorni dispari”, in cui Eduardo racchiuse le sue successive commedie, fino “agli esami non finiscono mai” del 1973.

Nell’opera di Umberto Verdoliva, le fotografie da lui realizzate sono il sinonimo dei “giorni dispari”, intesi come giorni negativi, in cui gli attori in esse rappresentati e proiettati inconsapevolmente sul palcoscenico della vita, recitano il loro silenzio, quello stesso silenzio di cui il grande drammaturgo era maestro nella sua recitazione senza parole, e forse questo è altresì il caso in cui si può affermare che la fotografia stessa a volte non necessita di parole aggiunte per esprimersi pienamente.